salviamo madre natura

Se continuiamo a trascurare la natura, fra 30 anni sarebbero a rischio 5 miliardi di persone per carenza di acqua. E’ quanto emerge da uno studio condotto dall’Università americana di Stanford

Proprio in questi giorni, stiamo assistendo a scenari irreali nella nostre città.

Strade vuote, luoghi pubblici deserti, qualcuno che si aggira per le vie desolate alla stregua di un sopravvissuto come se fosse uscito da una pellicola di un film della più catastrofica fantascienza.

Questa è l’emergenza sanitaria legata alla contrazione della diffusione del coronavirus, ma trovo interessante paragonare a quanto questa imposizione del non trascurare l’igiene fondamentale della nostra quotidianità, faccia il paio con il dovere, per ciascuno di noi, con il concetto che nulla va trascurato, a partire dalla natura a volte così banalmente bistrattata dagli uomini come se non gli appartenesse, come se non facessimo parte di un disegno globale dove la natura, appunto, è la nostra cornice di sopravvivenza.

Stiamo assistendo, inermi /(e questo aggettivo, inserito in tal ragionamento, deve molto preoccuparci) alla ‘ribellione’ della stessa, a mutamenti climatici che sembrano inarrestabili e che potrebbero addirittura compromettere l’equilibrio della sopravvivenza umana sul pianeta.

Non è uno scenario apocalittico quello pubblicato sulla rivista Science e basato su un modello che evidenzia quali nodi potrebbero venire al pettine fra 30 anni se l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura non diventerà più responsabile.

Perché nei prossimi trent’anni potrebbe essere impossibile procurarsi cibo ed acqua per circa 5 miliardi di persone, abitanti del continente africano e dell’Asia meridionale.

Non solo, ma sarebbero a rischio centinaia di milioni di residenti delle zone costiere che potrebbero essere flagellate da tempeste ed uragani.

L’ipotesi di una catastrofe ambientale è il risultato di uno studio realizzato dal gruppo internazionale coordinato da Rebecca Chaplin-Kramer dell’Università americana di Stanford.

Il modello di simulazione è stato calcolato sulla base di dati satellitari che permettono di realizzare mappe precise su piccole scale per capire dove e come la natura può influenzare il benessere degli esseri umani.

Gli studiosi compilatori del modello hanno analizzato in particolari tre scenari: il contributo della natura sulla qualità delle acque, la protezione delle coste e l’impollinazione delle piante nei campi coltivati. Dal modello emerge che l’impatto crescente dell’uomo sulla natura ne sta compromettendo gli ecosistemi. Dove infatti l’impatto dell’uomo è maggiore si riduce la capacità della natura di fronteggiarlo.

Trascurare la natura è un lusso che l’umanità non può più permettersi: nei prossimi 30 anni potrebbe essere compromesso l’accesso a cibo e acqua ad almeno 5 miliardi di persone, soprattutto in Africa e nell’Asia meridionale, e centinaia di milioni di abitanti delle zone costiere potrebbero essere esposti alla minaccia di tempeste e uragani.

E’ quindi evidente la dipendenza biunivoca tra il benessere dell’uomo e l’equilibrio degli ecosistemi.

I segnali d’allarme di come però la natura non riesca più a sostenere il nostro ‘ipotetico’ ben-essere (il trattino separatore dei tue termini s’impone) si sono già manifestati da tempo.

Dobbiamo trasformare le nostra abitudini e premere l’acceleratore sulle scelte da compiere per salvaguardare il pianeta Terra dagli attacchi scellerati di distruzione dell’equilibrio naturali con nell’inevitabile impatto sul nostro vivere quotidiano.

Dovremmo ormai avere imparato che la Terra, se non trasformeremo le nostre abitudini, andrà avanti comunque, a prescindere dall’uomo.

Come sapremo interpretare i cambiamenti degli ecosistemi naturali e il loro impatto sul nostro benessere?