Il giornalista Sergio Redaelli racconta il passato, il presente e il futuro di “Varese terra da vino”

 

Dodici anni dopo aver ottenuto la indicazione geografica tipica, Varese raddoppia e punta alla Doc, la denominazione di origine controllata per i propri vini.

Lo scrive il giornalista Sergio Redaelli nel libro appena uscito “Varese Terra da Vino – Guido Morselli e il Sasso di Gavirate” (Editore Macchione, € 25) che racconta la storia delle cantine e illustra i nettari di Morazzone e Angera, di Golasecca, Albizzate, Travedona, Azzate e Masnago.

Vini di buona stoffa con bouquet fragranti e una piacevole personalità. Gli enoturisti e i buongustai li chiedono con i piatti tipici della cucina prealpina, i bianchi con il risotto al pesce persico e quand’è stagione con gli asparagi, i rossi con la polenta e i bruscitt e con altre golosità prealpine.

Con i suoi diciannove ettari coltivati a vite, oggi Varese ha finalmente riconquistato un posto nel vigneto Italia (ma nell’Ottocento, prima dell’attacco della fillossera e dell’oidio, gli ettari erano oltre tremila). Nascono nuove cantine, aprono agriturismi che producono vino, i ristoranti studiano gli abbinamenti con i piatti tipici, le piccole golosità agroalimentari si ritagliano una nicchia di mercato, crescono l’impatto sul turismo e la tutela dell’ambiente.

Nel libro Redaelli racconta la nuova realtà economica, descrive i progetti futuri e rivela chi e come ha reso possibile questo “miracolo” dopo un secolo di abbandono, i pionieri che vent’anni fa misero in moto il circolo virtuoso trovando i soldi per le prime micro vinificazioni, per le indagini in campagna e per i necessari approfondimenti affidati alla facoltà di agraria dell’Università di Milano.

Personaggi delle associazioni agricole, delle istituzioni e del mondo imprenditoriale che hanno contribuito al rilancio di un interessante settore economico che oggi fattura 300 mila euro.

Il nebbiolo è l’uva varesina d’elezione ma non è la sola.

La futura Doc potrebbe riconoscere altri vitigni storicamente appartenenti al territorio con rese di 70 quintali per ettaro contro i 140 della Igt. Lo sviluppo di una denominazione di origine selettiva può fare da traino all’imprenditoria giovane, ma richiede l’appoggio delle istituzioni e della politica, a cominciare dalla Regione Lombardia, cui spetta il compito di assegnare i nuovi terreni da coltivare a vite.

Il libro racconta anche la storia e le tradizioni varesine, i “vinett savorii” di Angera, Tradate e Varese cantati da Carlo Porta nel primo Ottocento nei “Brindes de Meneghin all’ostaria”, la vacanza di Alessandro Manzoni a Morosolo nella villa del figliastro Stefano Stampa verdeggiante di vigneti, la campagna varesina di Garibaldi nel 1848 ad alta gradazione alcolica, il vinello di Casbeno prediletto dal duca Francesco III d’Este. Rivela, con il contributo di Linda Terziroli, la vera storia del “mitico” Sasso di Gavirate, il vino prodotto nella prima metà del ‘900 sui terreni di proprietà di Guido Morselli alla Casina Rosa.

Redaelli è autore delle biografie della garibaldina Laura Solera Mantegazza, del papa Pio IV zio di Carlo Borromeo, della dinastia d’imprenditori tessili Borghi di Gallarate e nel 2016 ha dedicato un libro ai pontefici che hanno avuto a che fare, in quasi duemila anni, con Santa Maria del Monte.

Ma si è occupato anche dei vini e delle produzioni agroalimentari da salvare. Nel 1999 ha scritto “Quando a Varese c’era il vino” descrivendo la produzione vitivinicola allora ridotta al lumicino ed è autore del dossier storico inviato al Ministero dell’Agricoltura nel 2005 per ottenere la Igt Ronchi Varesini.